lunedì 8 ottobre 2018

Giovani magliette rosse


Metti 10 studenti del Liceo Ariosto di Ferrara che ospitano 10 studenti del Liceo Alfieri di Torino. Dai loro in mano carta, penna e cellulare per le foto. Mandali a seguire il Festival di Internazionale e il gioco è fatto.
Per tre giorni sotto il sole o sotto la pioggia, hanno assistito agli eventi in programma e hanno scritto per il Blog Ariosto&Alfieri a Internazionale articoli su articoli per raccontare attraverso i loro giovani occhi gli incontri con giornalisti, scrittori ed artisti che hanno animato il dibattito del Festival. Non sempre è stato facile: spesso le tematiche sono state impegnative perchè di scottante attualità, ma non si sono mai arresi. Si sono aiutati e hanno cercato di comprendere meglio quelle parole e quei concetti complicati che descrivono il nostro mondo. Sempre sotto la supervisione di Augusta Giovannoli, detta Popi, ideatrice del Progetto  che mette al centro come protagonisti stessi gli studenti con totale fiducia nella loro determinazione e nelle loro potenzialità.
Per tre giorni i loro sorrisi, i loro occhi stanchi e le loro magliette rosse hanno colorato il Festival di Internazionale nel segno di un'allegra brigata di amici. Perchè tra un articolo e l'altro mentre si impara e si scoprono tanti mondi diversi, si diventa anche amici, di un'amicizia fatta di interessi comuni e di una spiccata curiosità. Ecco perchè nella loro base, la redazione di via Scienza 28/d, sono arrivati anche i ragazzi che hanno partecipato gli scorsi anni, per un saluto, un abbraccio o in caso anche un aiuto.
Per tutti è sempre un'esperienza molto formativa, una di quelle che lasciano il segno negli animi di questi giovani che vogliono capire e vivere davvero la complessa realtà che li circonda.
Alla prossima avventura, magliette rosse!

  La redazione                                                      

domenica 7 ottobre 2018

Libertà o conformismo?

Anticonformisti, irriverenti: esistono ancora scrittori del genere? L'autore è ancora libero?
Oggi lo scrittore  vuole essere insistentemente autentico non nei confronti del proprio pensiero ma agli occhi dell'opinione pubblica. La sua libertà è dunque limitata dalle aspettative del lettore e da questo periodo caratterizzato da questo moderno "puritanesimo". Questa nuova visione è denunciata dalla scrittrice britannica Zadie Smith che considera la scrittura ribellione: ribellione dalle attese degli altri. Lo scrittore è esente dalla responsabilità di essere conforme alle aspettative dei lettori.  Lo scrittore è irresponsabile, lo definisce scrivere in prima persona  da cui scaturisce l'Io letterario. L'autore è protagonista e consapevole del suo pensiero e si confida con un lettore astratto: la sua coscienza. Scrivere diventa così una questione di pudore e vergogna: è un rischio da assumere perché è personale, ma  gli consente di essere libero.
Questo tipo di scrittura non solo delinea la forma del pensiero dello scrittore ma permette anche alle persone comuni di scoprire loro stessi, non suggerendo cosa pensare ma come: solo in questo modo la scrittura diviene formativa.
Sophia Temgoua e Matilde Baiardi

Alle radici dell'intolleranza razzista in Italia

In Italia dilaga un odio di carattere razzista e xenofobo che non è più possibile ignorare, anche se oggi si ha quasi timore o vergogna ad ammettere che questo fenomeno è ormai gravemente diffuso nel nostro Paese. Questo odio, unito alla paura, sfocia nella violenza più atroce contro il "nemico pubblico", "l'altro da noi", è stato raccontato attraverso le notizie di cronaca in un video realizzato dai ragazzi ferraresi di "Occhio ai media". Importante è stato, infatti, l'intervento di Aliou Diene e Bouyagui Konatè, parenti di Idy Diene, venditore ambulante senegalese rimasto ucciso a Firenze da un colpo di pistola. Insieme a Pape Diaw, attivista senegalese, essi hanno infatti ribadito l'importanza della condivisione e dell'integrazione tra le diverse culture.
È fondamentale però fare una distinzione tra razzismo istituzionale e razzismo culturale, come sottolineato dal giornalista Gad Lerner e dal sindacalista italoivoriano Aboubakar Soumahoro. Infatti è quello istituzionale che, mediante meccanismi di disumanizzazione, produce "artificialmente" la condizione della clandestinità a livello legislativo (ad esempio legge Bossi-Fini); invece, quello culturale, basandosi sul concetto istituzionalizzato di clandestinità, si diffonde nell'opinione pubblica, proiettando in modo indistinto paura e indignazione contro la massa oscura e minacciosa dei troppi. 
In conclusione, quando dall'alto non viene lanciato un allarme antirazzismo, è necessario prendere posizione e costruire dal basso una nuova resistenza antirazzista sulla base dei valori fondamentali quali solidarietà, umanità e uguaglianza, come ribadisce l'articolo 3 della Costituzione italiana:"Tutti i  cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
       
                                                                                       Margherita Baldazzi e Roberta De Gioanni


Come informare un giornalista


Gli studenti lasciano i banchi e scendono in campo.
Più  esattamente, tra le vie storiche della città estense, dove Internazionale ha organizzato con mostre, programmi radiofonici, conferenze, documentari e molto altro il suo Festival che accoglie giornalisti da tutto il mondo.
Così, armati di penna, taccuino, intraprendenza e iniziativa, i ragazzi dei licei Ariosto di Ferrara e Alfieri di Torino, si sono calati nel ruolo di reporter che partecipano, ascoltano, valutano e riportano le informazioni più importanti.
Alcuni hanno svolto attività giornalistica intervistando i relatori di alcune conferenze come dei giornalisti veri e propri.  Altri studenti, invece, si sono interfacciati con il mondo dei giornalisti  registrandoli e dando loro le indicazioni necessarie sul festival:  è questo uno dei compiti dell'Ufficio Stampa, che richiede grande capacità comunicativa, organizzativa e autodisciplina.
Si ha infatti a che fare anche con inviati delle più importanti testate giornalistiche che, come spiega il paradosso del titolo stesso, abbiamo dovuto informare sull'organizzazione generale del Festival.
Il mio, come quello delle mie colleghe, è stato un ruolo significativo e complicato: abbiamo dovuto infatti far fronte non solo alle richieste più particolari, ma anche alle critiche, alle disapprovazioni e ai rimproveri, cercando in qualche modo di giustificarci.
Ufficio stampa significa anche e soprattutto autocontrollo, perché  nel  caos generale di speakers radiofonici, ospiti, fotografi e camera-men, è difficile gestire la situazione.
È stata una esperienza molto formativa perchè insegna a gestire la tensione e  a coordinare le attività,  e a stabilire con i vari giornalisti anche una conversazione  proficua dal punto di vista lavorativo, traendone consigli preziosissimi da portare con sè.

Isabella Greghi

Un'ingiustizia legittimata

E' la notte del 14 giugno 2017 a Londra e nel quartiere North Kensigton divampa un incendio nel palazzo popolare Grenfell Tower. Il fuoco causa 72 vittime e lascia molte persone senza una casa. A parlare di questa vicenda, oggi, alla facoltà di Economia a Ferrara, erano presenti due attiviste : Samiah Anderson e Swarzy Macaly insieme ai ragazzi di Occhio ai Media.
Gli argomenti su cui si è discusso sono stati principalmente riguardo le cause del disastro e l' iniziale indifferenza da parte delle autorità e del governo britannico.
Anche i Media non sono stati d'aiuto, in quanto si sono limitati a "dipingere"gli sfollati in maniera dispregiativa, che per rimanere fedeli alle proprie tradizioni oppure per semplice orgoglio non hanno accettato nessun tipo d'aiuto.
 Perciò è evidente quanto la nostra società, a cui piace vantarsi della propria multiculturalità, sia in realtà ancora chiusa in se stessa non accettando la possibilità dell'esistenza del diverso.
Le ospiti hanno portato all'attenzione del pubblico come il governo non si sia mobilitato in tempo per evitare questa tragedia; infatti era stato già fatto presente alle autorità che l'edificio non ricevesse una regolare manutenzione.
 I cittadini, notando l'indifferenza del governo in seguito all'accaduto, hanno "assaltato" il comune ed hanno richiesto insistentemente una partecipazione fino ad ottenere l'apertura di una inchiesta al fine di evitare il crollo di altre case popolari.                                 
A concludere l'incontro Swarzy ha citato una frase di Nelson Mandela:"Dobbiamo pentirci del male che hanno fatto i cattivi e del silenzio dei buoni" a sottolineare quanto l'indifferenza possa essere complice di queste tragedie.
                                                                                       Ada Pupella, Desiree Bindini, Giacomo Bosco

Apriamo una finestra sui conflitti

Ognuno di noi può immaginare la situazione critica di coloro che subiscono sulla propria pelle l'orrore della guerra, ma Staffan de Mistura, ambasciatore dell'ONU, Zedoun Alzoubi, fondatore di Union of Medical care and relief, Lorenzo Trombetta, studioso del contesto siriano, e Michiel Hofman, rappresentante di medici senza frontiere, vivono sicuramente più da vicino questa realtà. I Paesi dilaniati dai conflitti su cui l'incontro al cinema Apollo si è concentrato sono la Siria, in maniera più approfondita, e il Sud Sudan. La guerra in Siria, dice de Mistura, è la peggiore a cui abbia mai assistito: lo dimostrano cinque milioni di vittime, sette milioni di sfollati e cinquecentomila prigionieri presi in causa da ambo le parti. In più, gli ospedali normalmente considerati luoghi sicuri e di rifugio, poiché  sono i principali target delle bombe, si trasformano in zone di pericolo e paura. Tuttavia, i governi considerano come unica soluzione non la via diplomatica, ma l'uso delle milizie. Al contrario Alzoubi sostiene che per migliorare la situazione bisognerebbe continuare a manifestare per i diritti dei cittadini, in modo da far comprendere che essi non sono merce di cui le controparti del conflitto possono disporre a loro piacimento. L'intervento di Hofman ha inoltre chiarito che la guerra in Sud Sudan, pur non essendo oggetto dell'attenzione mediatica, presenta delle somiglianze con quella siriana ed è altrettanto cruenta.
In conclusione i relatori sostengono che prima di intervenire sul problema è necessario sensibilizzare il resto del mondo per renderlo partecipe di queste atrocità.
                                                                                                                   Sara Meneghini e Alisia Rizzi




Le donne non si spezzano

Avete notato che il simbolo di Internazionale 2018 è una mondina? Non è un caso. Infatti, il principale filo conduttore di quest’edizione del festival è rappresentato dalle donne e dal rispetto dei loro diritti. Il filo rosso che lega i vari movimenti femministi nazionali è creare un programma politico comune e un dialogo interclassista e intergenerazionale in grado di ribaltare il sistema patriarcale e capitalista. Per raggiungere questo obiettivo è necessario pensare al femminismo come a un movimento in grado di unire tutti coloro che sono stati dimenticati dalla società, avvalendosi della “sapienza dei più deboli”, e di riconoscere nella vulnerabilità un punto di forza a differenza di ciò che le forze neo autoritarie fanno. Come l’attivista polacca Marta Lempart ha sostenuto nell’illuminante dibattito tenutosi venerdì sera a Teatro Comunale, al giorno d’oggi il movimento femminista sta aumentato il suo potere grazie alla diffusione non solo nelle grandi metropoli, ma anche nelle piccole realtà. Da questo dialogo non sono esclusi gli uomini che però dovrebbero riflettere e rivedere la loro mascolinità che per troppo tempo è stata intesa come supremazia dell’uomo sulla “categoria donna”. Quest’idea di mascolinità ha inoltre portato l’uomo a ristabilire in modo violento un’ideologia patriarcale che legittima l’avanzata del capitalismo e del nazionalismo. In conclusione, impariamo a pensare al femminismo non come a un nome proprio, ma come un nome comune a disposizione di chiunque ne voglia far parte. Il femminismo parla una lingua sovranazionale. 
                      Emilia Ciatti e Martina Catino

Un viaggio fotografico

Tre anni di viaggio, 25.000 foto, decine di taccuini di appunti e numerosi articoli di giornale sono il punto di partenza del libro La Crepa, sul quale si è tenuta una conferenza oggi al Circolo Arci Bolognesi per Internazionale a Ferrara.
Carlos Spottorno, fotografo e autore del libro insieme al giornalista Guillermo Abril, ci spiega che questa “Crepa” ha un significato grafico che rende l’idea di che cosa troveremo all’interno del libro: non una crepa unica, ma sia quella che separa l’Europa e i suoi stessi paesi, sia quella che la separa dal resto del mondo.
Tutto ha origine nel 2013 quando il direttore del giornale spagnolo Semanal, in seguito al disastro di Lampedusa, li incarica di una serie di reportage sulle frontiere meridionali dell’Europa.
Nel 2014 gli autori si imbarcano per percorrere i confini da Melilla fino alla Grecia, riscontrando non poche difficoltà nell’acquisire informazioni in quanto tenute nascoste dalle autorità. Solo per caso, salendo sulla nave sbagliata, vengono a conoscenza di quei dati che permetteranno la continuazione della loro ricerca. Tra il 2015 e il 2016, riuscendo ad ottenere i fondi necessari, proseguono il viaggio verso le frontiere Nord-Orientali dell’Europa. Ancora delle frontiere con i loro problemi.
Il libro cuce con un filo rosso tanti episodi tutti diversi tra loro, che vanno però a costituire l’idea di un contesto che, a parere di Spottormo, è un concetto fondamentale per riunire insieme tutte le sporadiche informazioni di cui ogni giorno veniamo a conoscenza.
Il fotografo dichiara di aver abbandonato il concetto tradizionale di fotografia per creare delle illustrazioni che riferissero un messaggio. La natura fotografica doveva essere mantenuta, ma allo stesso tempo anche arricchita. Partendo da immagini tutte uguali e con lo stesso peso narrativo, le elabora ispirandosi alle graphic novels in modo che diano l’idea di una storia con un inizio, una fine e un testo narrativo. 
 Greta Mariotti e Antonia Romagnoli 

Lotta al femminile contro la malavita

Il cortile del Castello Estense di Ferrara è stato teatro di un acceso dibattito, moderato da Teresa Parmigiani, che ha analizzato il ruolo femminile all'interno delle organizzazioni criminali o della lotta contro di esse.
Il primo ospite a prendere la parola è stato il criminologo Federico Varese che ha evidenziato l'esclusione delle donne dai ruoli più importanti della gerarchia mafiosa tradizionale, sebbene esse collaborino attivamente con gli uomini. Una delle spiegazioni addotte da Varese è che le donne sono più inclini al sentimento d'amore che potrebbe indebolire l'organizzazione e i principi mafiosi. Paradossalmente sono presenti pregiudizi di genere anche in ambito giudiziario, in quanto donne effettivamente appartenenti a un'organizzazione criminale non vengono indagate e incriminate come tali, poiché non sottoposte a riti di iniziazione da cui sono escluse. Il criminologo ha inoltre supportato la sua tesi portando come esempio le dinamiche organizzative della mafia giapponese, in cui le mogli dei boss gestiscono i rapporti con gli affiliati dei mariti ma non vengono considerate colpevoli.
La parola è poi passata a Valentina Fiore, una delle responsabili del progetto Consorzio Libera Terra Mediterraneo, che si occupa della vendita di prodotti agricoli provenienti da terreni confiscati alla malavita. "Debolezza", mettere insieme e amore sono le parole chiave essenziali per descrivere il suo lavoro. Il primo è in realtà una debolezza maggiormente in una prospettiva maschile, perchè usare il dialogo e non l'assertività è, in realtà, il solo modo per comunicare con il mondo della malavita.  Il primo passo infatti da intraprendere per permettere un primo moto di rivoluzione e cambiamento dovrà assolutamente partire dal singolo individuo per poter poi coinvolgere un'intera comunità.
Da ultima Anabel Hernàndez porta la sua incredibile testimonianza di vita e di lavoro sul narcotraffico che dilania il Messico, suo stato d'origine. La giornalista presenta le terrificanti statistiche secondo cui, a causa della continua espansione e del commercio dei cartelli della droga in Sud America, avrebbero già perso la vita più di duecentocinquantamila messicani. Con grande enfasi sottolinea come gli esponenti delle organizzazioni criminali si servano delle donne come merce di scambio, nonché fondamentali collaboratrici e responsabili del riciclo di denaro. Denuncia inoltre la completa collusione delle forze dell'ordine e degli organi statali con i narcotrafficanti e l'ipocrisia della società, la quale non solo ignora le vittime non appartenenti ad una classe sociale elevata, ma  è attiva consumatrice di beni derivanti dalla criminalità organizzata.
La conclusione è lampante. Nonostante le differenze di forma che contraddistinguono le diverse organizzazioni criminali, in realtà esiste un'unica via da seguire: considerare prese di posizione e atti di sopravvivenza contro la malavita come puri e semplici desideri di normalità.
Filippo Novelli, Federica Sossella

La sindrome della mela

Cosa significa essere donna all'interno di un mondo maschilista? Fin dall'inizio dei tempi alla donna è sempre stata attribuita la "sindrome della mela": da quando è stato commesso il peccato originale, la figura femminile si è ritrovata sottomessa a quella maschile, assimilata ad una sorta di  "lupo cattivo".
Oltre alla sottomissione vi è una discriminazione in ambito lavorativo: il 40% delle donne lavora meno degli uomini e ricopre incarichi di basso livello, inoltre una piccolissima parte, pari al 10% lavora come vignettista per la stampa, nonostante il livello dell'educazione femminile sia quello statisticamente più alto (37%). Dopotutto, "qual è il corrispettivo femminile dell'uomo seduto sul divano davanti alla tv? Una donna in piedi a cucinare!".
Grazie a tre donne vignettiste, Anne Derenne, Zainab Fasiki e Marilena Nardi, lo stereotipo delle donne in cucina è decaduto.
Infatti, secondo la francese Anne Derenne, la donna che fin da bambina viene privata di opportunità, riservate maggiormente ai maschi, cresce con l'etichetta di "emotiva, empatica, sentimentalista: la tipica femminuccia", che la limiterà nell'esprimersi in futuro,
Zainab Fasiki racconta come lei si sia opposta alla volontà della madre per dedicarsi ai suoi viaggi: così, grazie alla vignettista marocchina, scopriamo come la società in Marocco emargini la donna che non segue le regole sociali. "Da quel momento diventi un problema", ha specificato Zainab.
Le donne, in tutti i contesti, sia europeo che extra europeo, corrono il rischio di essere soggette a molestie e violenze da parte degli uomini. Le strade della città non sono più sicure, tra zone d'ombra e zone di luce e piene di sguardi che sembrano imporsi sulla figura di donna le impedisce di vivere liberamente. Nei casi di violenza accade lo stesso: donne, anche di giovane età non vengono assistite in caso di violenza subita oppure non vogliono  mostrare quel malessere che si trascinano dietro, che le sta consumando. In questi casi, è la bellezza fisica che è colpevole della perdita di fiducia della donna in se stessa, frena i talenti e la possibilità di una carriera degradando la sua figura in mero oggetto di "desiderio sessuale".
Trattando di desiderio sessuale, Zainab Fasiki racconta un episodio di quotidianità in Marocco: una ragazza, la cui unica colpa è stata di salire su un autobus, ha subito violenza. Questo tragico avvenimento è solo uno dei tanti trattati dalle vignette delle tre ospiti, le quali continuano a combattere per togliere il velo del "non detto" dagli occhi dei loro lettori. 

Anna Di Garbo e Chiara Marchesin. 

Noi i cattivi italiani


Il 6 ottobre, a palazzo Roverella a Ferrara, è stato intervistato lo scrittore, giornalista e conduttore televisivo Gad Lerner dalle studentesse di OCCHIO AI MEDIA, un’associazione di volontariato non governativa che si occupa del monitoraggio della stampa per verificare che nessuna etnia venga discriminata dai giornali.
Tema dell’incontro sono stati l’Olocausto e le Leggi razziali del 1938, di cui quest’anno ricorre l'ottantesimo anniversario.
Le interessanti domande delle studentesse hanno stimolato la riflessione sulle somiglianze tra il pensiero di epoca fascista e quello che attualmente alimenta le discriminazioni.
Nonostante questo sia un argomento complesso, “disumano e che suscita disagio” in chi ne sente parlare, oggi abbiamo avuto l’occasione di ascoltarne una lettura più innovativa diversa.
Nessuno, o pochi, nel Ventunesimo secolo ha il coraggio di definirsi “razzista”, parola che, secondo Lerner, è diventata "proibita" in Italia, ma non mancano le somiglianze tra discorsi dell’epoca fascista e i nostri talk show televisivi. Secondo Gad Lerner “il linguaggio e l’ironia usati sono gli stessi": i giornali che si fingono “dalla parte del popolo”, “anticonformisti” , che ritengono il politically correct un flagello contro la libertà di parola sono gli stessi che usano insulti, parolacce ed espressioni come negro, disinfestazione di rom. A questo linguaggio, molto frequente nella comunicazione giornalistica e politica, però non dobbiamo abituarci.
Il Popolo italiano del 1938 si era abituato alle discriminazioni contro gli ebrei tanto che non si era reso conto di ciò che stava accadendo; pensiamo, per esempio, al fatto che soltanto un insegnate a Firenze si è rifiutato di coprire la cattedra di un professore ebreo espulso dalla scuola e deportato nei campi di concentramento. 
E se questa realtà non fosse così distante dalla nostra?  
Lerner ritiene che oggi non ci sia soltanto un accanimento immotivato contro gli immigrati come anni fa contro gli ebrei, ma che siano aumentate anche le motivazioni per condannare gli immigrati: perché "ci rubano il lavoro", "sono ladri nullafacenti".
Chi non condivide queste idee xenofobe è considerato razzista contro gli italiani, "gli italiani sono i veri presi di mira dai grandi finanzieri", "troppi figli di immigrati nelle scuole vanno a danno dell’istruzione di noi italiani”.
Grazie alla sua personalità brillante Lerner è riuscito a conquistare il pubblico parlando di un tema vicinissimo a noi, senza vergognarsi di fare nomi noti come quelli di uomini politici, emittenti radiofoniche e giornalisti - i veri fomentatori dell’ideologia razzista -  alternando momenti di serietà e di  leggerezza.

 Giulia Pietrogrande e Benedetta Crivellaro



"Non solo di cose d'amore"


A Palazzo Roverella oggi si è parlato di eros, non con "il significato romantico e privato che gli attribuiamo oggi, bensì uno molto più ampio, che arriva ad abbracciare tutto: che si parli di politica o di virtù, di verità o di menzogne", ogni cosa è amore. E' questo il messaggio di Socrate protagonista del saggio di Pietro Del Soldà, filosofo e conduttore del programma su Rai Radio Tre Tutta la città ne parla. A intervistarlo a Internazionale un gruppo di studenti del Liceo Ariosto di Ferrara.
Nel suo ultimo libro Non solo di cose d'amore. Noi Socrate e la ricerca della felicità l'autore sceglie come guida proprio il filosofo greco in un percorso che solleva quelle domande esistenziali che l'uomo da sempre si pone. Come riuscire a realizzare davvero se stessi? Come combattere una solitudine che è sempre compagna di vita anche nel mondo della comunicazione globale? Come essere felici?
Un moderno Socrate, accompagnato dal sofista Protagora e dalla sacerdotessa Diotima, ha portato fino ad oggi parole antiche che mostrano come gli esseri umani siano sempre separati non solo dalla comunità in cui vivono, ma anche da loro stessi. Incapaci di superare il muro tra quello che sono e quello che vorrebbero apparire, faticano a comprendere che è nel quotidiano dialogo con gli altri che possono aprirsi la strada verso una possibile felicità.

Bit criminali

In ogni epoca l'uomo ha sempre avuto paure che lo hanno afflitto. L'uomo di oggi è minacciato dal web. Presso il palazzo Roverella Alessandra Belardini, Francesca Bosco, Tim Stevens e Federico Varese discutono sugli abitandi delle piattaforme digitali e sui rischi che si celano e che creano conseguenze non arginabili.
La paura deriva dal continuo stato di incertezza di fronte a questo "mondo iperconnesso", un enorme sistema nel quale sono nascosti pericoli e dove si insidiano organizzazioni criminali, nativi digitali e la polizia postale "in incognito".
Alessandra Belardini, ufficiale della polizia postale, sottolinea l'importanza dell'uso di un linguaggio appropriato sui social molte volte utilizzato in modo distorto. Spesso, infatti, sostituiamo una nostra opinione con un "emoji", limitando il valore delle parole ed incrementando le polemiche inutili.
"Il fattore umano è l'anello debole della catena interattiva che si viene a crare nel web", specifica Francesca Bosco, membra del Centre for cybersecurity, Wef.
"Spesso gli utenti si informano male", soprattutto in termini di sicurezza e di privacy, immetendo nel sistema propri dati. Ed è proprio di questa negligenza che i cyber criminali approfittano. Questi si servono dei dati degli utenti per venderli per fini di  lucro o per creare false identità. La polizia postale agisce in prima linea davanti a simili reati tracciando la scia dei rapporti poco chiari, arrivando fino a prevedere la vulnerabilità delle infrastrutture del sitema che permettono simili traffici.
L'esempio più noto è quello dei traffici pedo-pornografici: questi scambi si sono modificati nel tempo materializzandosi in pacchetti commerciali ai quali vengono allegati veri e propri manuali per aiutare il criminale ad aggirare la tracciabilità.
La criminalità informatica arriva a coinvolge anche le relazioni tra gli Stati diventando ancora più pericolosa. Federico Varese, criminologo, ci descrive come molti Stati del mondo accettino la presenza di queste attività illegali per scopi strategici internazionali che coinvolgono in particolare la politica .
Un modo per combattere questi cyber criminali potrebbe essere creare un clima di sfiducia interno che attacchi direttamente le strutture del sistema.
Per concludere la comunicazione informatica ,come dice Tim Stevens,sarebbe più sicura se ci fosse una leggislazione rapida e mirata sui molteplici problemi del web.
 Anna Di Garbo e Francesca Menegatti, Liceo Ariosto

Cosa ne pensate del festival?

Immersi nella pittoresca cittadina ferrarese tra giornate soleggiate e giornate nebbiose, si è svolto il  Festival di Internazionale. Vivendo la manifestazione si è potuto apprezzare il bello di osservare negli occhi delle persone l'emozioni suscitate da un evento , la commozione per una storia o per una citazione di uno spettatore o vedere chi semplicemente si arrabbia perché non capisce i concetti espressi da chi parla ,oppure, notare il semplice interesse e i volti contriti .Camminando tra le strade della città troviamo una folla variatissima ed "internazionale" che freneticamente  si dirige agli innumerevoli incontri  promossi dal festival.
Cosa pensa la popolazione ferrarese del Festival di Internazionale? I cittadini ferraresi si spaccano in due fazioni: c'è chi vede il festival come un motivo di disturbo che intralcia la vita quotidiana chi ,invece, pragmaticamente affida al Festival un ruolo puramente economico e chi ancora, lo apprezza in tutte le sue forme e vorrebbe che non finisse mai. L'impegno culturale del festival viene ampiamente apprezzato da chi entra in città solo per questo evento, osservando come questa occasione doni una possibilità di "apertura mentale" ai cittadini ferraresi e non.

                                                                                                                            Menegatti Francesca

The Sexist Show


Ferrara è ricca di angoli nascosti e scorci piacevolmente inaspettati, ma è in particolari periodi dell'anno, come durante il festival di Internazionale, che si riempie davvero di sorprese in ogni dove:   passeggiando per via Bersaglieri del Po, ad esempio, potreste scoprire, addentrandovi all'interno di un antico palazzo, una particolare  e celata opera d'arte. Affacciandosi, quasi solo per curiosità, alla porticina della galleria del liceo artistico Dosso Dossi ci si ritrova davanti ad un enorme telone bianco con la scritta "I am so sorry" nel convenzionale colore rosa "femminile", con cui da sempre vengono identificate le donne. 
L'opera ha lo scopo di rappresentare il paradosso con cui le donne sono costrette a vivere e con cui devono continuamente interagire, quello di doversi scusare per volere e per poter affermare alcuni dei propri diritti fondamentali. Entrando si è costretti a calpestare l'opera che occupa l'intero ambiente della galleria, senza lasciare spazio ad un'ulteriore perlustrazione della sala: per questo motivo il visitatore, quasi disorientato e confuso, è portato a riflettere sulla gravità del problema, più ampio di quello che sembrerebbe vedendolo da fuori. Molto caratteristica è anche la collocazione dell'installazione site specific, che posizionata in un qualsiasi altro punto della città estense avrebbe perso buona parte del suo significato, in quanto realizzata dalla giovane artista Julia Mahrer, ex studentessa del liceo artistico ed ora impegnata presso il Royal College Art di Londra dove studia e lavora. La giovane svizzero-dominicana, sempre presente in sala,consegna al passante le chiavi per scegliere da che parte stare, ribaltando tramite quest'opera i parametri di ciò che è vero e ciò che è falso.

Emilia Ciatti e Martina Catino

L'America in rivolta

Make America Great Again.

Ogni giorno il presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump è oggetto di derisione e critica da parte della stampa di tutto il mondo, che fin dalla sua elezione nel 2016 si è accanita contro il suo atteggiamento spesso definito omofobo, sessista e razzista.
In realtà, nel corso dell'incontro tenutosi nella mattinata del sabato presso il cinema Apollo, John Eligon, reporter per il New York Times, Sarah Jaffe, giornalista e scrittrice statunitense, e Gary Younge, reporter per il Guardian, hanno dimostrato allo stupito pubblico che esiste un lato nascosto della propaganda del repubblicano che fino ad ora non è stato tenuto in considerazione.
Di fatti l'ascesa al potere della destra repubblicana è stata accompagnata di pari passo dalla sempre più pressante presenza sulla scena di movimenti di rivolta, quali Me Too e BlackLivesMatter, che lottano per il riconoscimento dei diritti delle minoranze oppresse, o quantomeno dimenticate, dal nuovo governo.
Per quanto paradossale possa sembrare, pare quindi che se da una parte le ultime elezioni hanno portato alla luce il lato più oscuro dell'America, dall'altro hanno dato una vera scossa al tessuto sociale, risvegliando nella coscienza degli americani quell'ésprit de revenche che da tempo era rimasto assopito.
La grande March For Our Lives di Washington, è solo un esempio del risveglio dell'attivismo statunitense che, come hanno evidenziato gli studi di Sarah Jaffe, trova le sue radici negli strati più bassi della società, dove sono stati in primo luogo gli insegnanti e i lavoratori sociali a mobilitarsi per l'aumento dei fondi scolastici in un Paese che sembra aver scelto di smettere di investire nell'istruzione.
Altro esempio di questa nuova mobilitazione politico-sociale è la sempre più diffusa consapevolezza della necessità di collaborazione tra le minoranze, la cui battaglia, come ha spiegato Eligon, comincia proprio dalla maggiore attenzione che quest'ultime rivolgono all'attenta analisi delle proposte dei candidati, indipendentemente dal partito di provenienza. I processi a seguito delle sparatorie, continua Eligon, hanno infatti dimostrato che non si può più fare cieco affidamento ad un candidato solo perché il partito, democratico o repubblicano che sia, è stato storicamente più vicino alle proprie idee politiche, diversamente bisogna cercare di vedere quali proposte forniscono risposte più adeguate ai propri bisogni e, nel caso in cui non ci si riconosca in nessuna di esse. comprendere che è arrivato il momento che le minoranze presentino i loro candidati.
In conclusione, dopo aver toccato il fondo gli americani hanno oggi la possibilità di darsi la spinta necessaria alla risalita, occasione che, in maniera a dir poco contraddittoria, gli è stata fornita proprio da Donald Trump.
Quindi grazie Donald, per aver dato l'opportunità all'America di essere great again.

Ines Ammirati


L'Europa delle disuguaglianze


Perché si stanno affermando sempre più in Europa i partiti di estrema destra? Quali saranno le conseguenze di questa tendenza politica? A queste ed altre domande sulle sorti e sul passato della nostra Europa hanno cercato di dare una risposta l'economista Fabrizio Barca, la giornalista Rachel Donadio e l'europarlamentare Ellie Schlein. Come spiega Barca, questo fenomeno ha origine dalla paura e dalla diffidenza verso la diversità, derivate soprattutto dalla crisi economica del 2008 e sembra non doversi arrestare. Questo ha generato disuguaglianze sempre più marcate sul piano economico, sociale e valoriale e la sfiducia dei singoli Paesi sull'Unione Europea. I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, le città che investono nell'innovazione sempre più importanti, mentre le più piccole e le zone rurali sempre più emarginate. Di conseguenza la democrazia, il principio fondativo dell'Unione Europea, si sgretola con il tempo. Ellie Schlein sostiene inoltre che, parte della responsabilità della crisi va attribuita anche alle multinazionali che lucrano sulle difficoltà economiche degli Stati. Ai vertici delle nostre istituzioni c'è chi finge di non riconoscere e non capire questo dislivello socio-economico e non opera per modificare radicalmente, come a parere dei relatori sarebbe necessario, l'assetto politico e finanziario del paese. Difatti l'unico intervento messo in atto ha sostenuto solo le banche per non far crollare l'economia degli Stati, mentre le piccole realtà e i lavoratori sono stati lasciati a loro stessi.
Cosa si prospetta per il futuro? Secondo gli ospiti, l'investimento nella tecnologia e nell'innovazione, il cui ricavato andrebbe indirizzato a vantaggio della società, potrebbe risollevare la situazione. Sta ai governi decidere in che modo investire i fondi disponibili e rendere l'Europa una distopia o la  realizzazione di un'utopia.
Antonia Romagnoli e  Greta Mariotti

MSF ci racconta la verità

Nel pomeriggio di sabato 6 ottobre, nonostante il mal tempo e la pioggia insistente, il Teatro Comunale era gremito di persone giunte per assistere alla discussione, moderata dal giornalista Gad Lerner, sulle accuse e le fake news sul comportamento delle ONG, e in particolare di MSF, riguardo ai fatti degli ultimi diciotto mesi. Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere, spiega che la maggior parte di queste diffamazioni è rivolta alle missioni di soccorso in mare, perché é l'ambito più visibile e quindi più facile da criminalizzare.
Le prime azioni di salvataggio risalgono all'ottobre 2013, dopo la fine delle operazioni governative di Mare Nostrum, a seguito della dichiarazione dell'Italia di non poter coprire le ingenti spese economiche di quasi 120 milioni di euro annui e
della sua richiesta inascoltata di intervento rivolta all'Europa. Fino a questo momento infatti non si era verificata un'emergenza umanitaria che richiedesse l'azione di MSF.
La campagna contro di loro parte abbastanza presto, ma inizialmente la minaccia del blocco delle operazioni non era che una remota possibilità, ora invece è realtà. Molti sostengono che solo bloccando queste operazioni i migranti saranno sempre più scoraggiati nel venire verso le nostre coste e proprio con l'intento di bloccarle accusano le OGN di aiutare gli scafisti dei barconi nel contrabbando di persone. Tuttavia, come garantito nella Convenzione di Ginevra, le organizzazioni non governative dovrebbero avere il diritto di salvare vite umane e queste di essere salvate. Ora, per il soccorso in mare è stata istituita la Guardia Costiera Libica, che però non ha un porto sicuro a cui fare riferimento. I libici scappano dalla guerra del loro paese, ma sono costretti a tornarci.  
"MFS era simbolo del bene", dice la presidente, "adesso invece abbiamo perso la maggior parte dei consensi". Pertanto queste organizzazioni si sentono al momento inadeguate, lo spazio umanitario non è più rispettato e si sta tentando in tutti i modi di trovare una soluzione. 
Quello che la presidente di MFS chiede alla fine della discussione, non è di aumentare le donazioni diminuite a causa della perdita di consensi, ma, con grande sorpresa da parte del pubblico, di aiutarli a diffondere messaggi che vadano "contro corrente e ispirino la solidarietà". 

Greta Mariotti e Antonia Romagnoli

I soldi fanno la felicità?

I soldi fanno veramente la felicità? E' la domanda sulla quale si basa quest'evento che vede come protagonisti il presidente di Banca Etica Ugo Biggeri e la giornalista Roberta Carlini, presentati da Massimo Cirri e Sara Zambotti.
L'incontro è contraddistinto da un gioco interattivo creato dai due relatori che ha coinvolto il pubblico e i suoi ospiti: attraverso un cartello, con due colori sui suoi lati, il pubblico è potuto intervenire nel dibattito mostrando il proprio pensiero.
Le domande poste riguardano la base dell'economia: la definizione di "grano", della borsa, degli investimenti e della liquidità; in seguito i quesiti si sono complicati fino a passare a delle vere e proprie simulazioni economiche.
La scintilla che ha avviato il dibattito è stato l'anniversario della crisi finanziaria della società Lehman Brothers, crisi avvenuta il 15 settembre 2008, che ha causato diversi cambiamenti in ambito economico in tutta Europa. Dal punto di vista culturale e in chiave ironica, Carlini ha presupposto che se la società avesse avuto il nome di "Lehman Sisters" probabilmente non sarebbe fallita, perché le donne in questo settore non hanno propensione al rischio. A proposito di "rischio", un concetto chiarito è stato il "Bailing", che prevede di affrontare il pericolo economico sostenuto dalle grandi banche e non dai soggetti esterni in caso di forti crisi al loro interno.
Un'altra questione discussa è stato il tabù dei conti correnti gratuiti utilizzati come strumenti per ingannare l'investitore e per acquisire nuovi clienti, così come l'abbassamento dei costi o degli interessi passivi.
Nella conclusione si è anche riflettuto sulla perdita di valore del denaro nell'era attuale, che ha svalutato l'importanza di ogni bene per trasformarlo in mero oggetto di scambio, andando ad incrementare il flusso continuo del capitalismo globale. Questo incontro ha voluto farci riflettere su quanto i soldi diano veramente la felicità, in un mondo che valuta le esperienze, le emozioni e le opportunità esclusivamente in termini economici. Per noi ragazzi è importante riflette sull'importanza di seguire le nostre passioni alimentate dalla brezza sognatrice oppure scegliere di seguire il continuo arrivismo che riflette i caratteri di questa società sempre più concorreziale e frenetica.
Benedetta Crivellaro, Anna Di Garbo, Liceo Ariosto Ferrara

Il futuro incerto dell'Europa




Quale sarà fra qualche anno la situazione dell'Europa?
Questa la domanda rivolta da Marco Zatterin, giornalista de "La Stampa"a Beatrice Covassi, rappresentante della Commissione Europea,  a Josè Ignacio Torreblanca, professore dell'Università di Madrid, a Jan Zielonka, professore dall'Università di Oxford e a Jean Quatremer, giornalista del quotidiano francese "Libération".
Secondo quest'ultimo l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea indebolirà soprattutto la posizione degli europeisti, che non hanno le idee chiare e non affrontano chiaramente i problemi. Specialmente i giovani stanno perdendo fiducia nel Vecchio Continente e l'unico modo per riuscire a coinvolgerli, stando a Torreblanca, è creare una forza politica in grado di avvicinarsi alla gente attraverso l'utilizzo dei media.
Covassi aggiunge che è arrivato il momento di decidersi a partecipare attivamente, dal momento che l'Europa sta progressivamente perdendo la propria condizione democratica e si sta indirizzando verso il nazionalismo. E' dunque opportuno iniziare a pensare ad essa non come a parte del problema, ma come a parte della soluzione.
                                           
Simona Babbi e Elisabetta Ceresero


Tradire la memoria

Amira Hass, giornalista ebrea israeliana, presenta al pubblico italiano il diario della madre sopravvissuta al campo di concentramento nazista di Bergen-Belsen, ma lo fa con riluttanza. Il libro Il diario di Bergen-Belsen 1944-45, che raccoglie il diario di Hanna Levy-Hass, ebrea nata in Jugoslavia, e due testi di sua figlia Amira, raccontano le memorie della deportazione della donna, che, all’uscita dal campo, ha passato la vita perennemente in cerca di un nuovo posto da poter chiamare casa. 
Amira Hass parla con difficoltà dell’esistenza degli ebrei durante e dopo la dittatura nazista. Sempre più di frequente lo sterminio del popolo ebraico diventa infatti metodo di ricatto politico utilizzato dallo Stato di Israele per giustificare l’espulsione dei palestinesi dai suoi territori, come se in qualche modo dovessero pagare per la sofferenza vissuta dagli ebrei durante i dodici anni di persecuzione. In tutto questo, sempre più spesso si crea la "gerarchia della sofferenza", che tenta di paragonare la persecuzione degli ebrei con i quattrocento anni di schiavitù del popolo africano o con l'oppressione dei palestinesi, come se esistesse un dolore più o meno forte, come se il maltrattamento e la perdita di vite umane potessero essere considerati migliori o peggiori a seconda della durata e della violenza dei soprusi. Ma la giornalista non ci sta, anzi, si dichiara indignata scatenando l'immediato applauso spontaneo del pubblico, che reagisce ancora prima della traduzione
del suo intervento dall'inglese all'italiano, lanciando un messaggio chiaro: lo sterminio non può diventare uno strumento politico.
La critica aperta all'Europa è forte: non si può dire che abbia imparato dai suoi errori, ma, anzi, gli stessi comportamenti vengono ripetuti oggi con altre minoranze, mentre si manifesta sempre più chiara la tendenza degli europei a minimizzare la tragedia della persecuzione del popolo ebraico durante il Terzo Reich. Una violenza come quella a cui abbiamo assistito nel secolo scorso  non dovrà mai più ripetersi, non solo nei confronti degli ebrei, ma nei confronti di qualsiasi etnia e religione, perché, sottolinea la giornalista, l'offesa è stata fatta all'umanità intera.
L'incontro si conclude con l'intervento di uno spettatore che, visibilmente commosso, riassume quasi senza volere l'essenza dell' intero evento: la memoria della Shoah è stata tradita e viene tradita ogni qualvolta che viene minimizzato o ripetuto ciò che è successo negli anni di persecuzione del popolo ebraico, e con lei viene tradito tutto il genere umano.


Martina Piscitelli

Comunità LGBT, fatevi sentire!

"L'Europa è una giungla non di animali, ma di diritti".
Con questa frase Claudio Rossi Marcelli ha aperto l'incontro tenutosi al Festival di Internazionale a Ferrara sottolineando le differenze tra i diritti dei vari stati europei. Infatti, è possibile suddividere il continente in tre macroregioni: la zona verde, comprendente la Penisola Iberica e l'Europa Occidentale, che riconosce i diritti civili all'interno della loro società; la zona gialla, ovvero l'Europa Meridionale, che vorrebbe ma non è in grado di ottenerli; e infine l'Europa Nord-occidentale, la cosiddetta zona rossa, che addirittura li vieta dalla Costituzione.
A discutere di quest'ultima sono saliti sul palco Yuri Guaiana, attivista militante e per mestiere, Marta Lempart, attivista e femminista polacca che organizza manifestazioni a sostegno dell'aborto, e Daniele Viotti, eurodeputato che ha promosso i diritti LGBT tra i parlamentari. Un caso particolare che hanno cercato di analizzare è stato quello della Romania, Stato in cui si cerca di lottare contro l'idea conformista di una famiglia formata solo da un uomo e una donna, lotta ostacolata dalla Chiesa e da un partito socialista che vieta i loro diritti. A peggiorare la situazione sopraggiunge la Russia che sta cercando di influenzare l'Unione Europea con la sua omofobia costruendo "campi di concentramento" in cui vengono rinchiusi membri della comunità LGBT.
Secondo i tre propagandisti e il pubblico presente, è arrivato il momento di cessare di essere gentili e di negoziare, occorre, ora più che mai, prendere una posizione e combattere al fine di ottenere la vittoria. 

Simona Babbi e Elisabetta Ceresero

La rete molesta: misoginia online


La misoginia online è stato il tema del dibattito  tenutosi alle ore 17 presso il Palazzo Roverella di Ferrara con protagoniste Chiara Lalli e Moira Weghel, e con Daniele Cassandro come moderatore.
Il primo argomento trattato è stato il motivo alla base degli insulti di genere, che sarebbe secondo Weghel e Lalli un moto di rabbia momentanea e un sistema evidente che colpisce le donne quando queste si esprimono su ambiti prettamente maschili soprattutto attraverso minacce di stupro e di morte.
Moira Weghel ha raccontato di alcune sue esperienze successive all'insediamento di Donald Trump in qualità di presidente degli Stati Uniti d'America. L'episodio più eclatante è stato la reazione esagerata e volgare di alcuni siti e testate giornalistiche ad un suo articolo storico riguardante l'aborto.
Un altro tema emerso è stata l'elevata presenza di maschilismo, sessismo e razzismo all'interno delle multinazionali della Silicon Valley, dove le dipendenti, soprattutto di colore, vengono trascurate quasi fossero invisibili.
Alla domanda sulla possibile presenza di un vizio di forma all'interno dei social network, Moira Weghel risponde portando l'esempio della creazione di Facebook, nato per permettere ai giovani studenti di Harvard di esprimere giudizi e commenti sulle foto di alcune compagne di corso per umiliarle.
Successivamente si è parlato del diffusissimo hashtag #MeToo, che è senz'ombra di dubbio un valido sostegno per le vittime di abusi, ma che dovrebbe poter uscire da un contesto prettamente legato al mondo di Internet, diventando qualcosa di più concreto, per far sì che si tratti davvero di femminismo.
Il dialogo si è allargato anche al discorso aborto, facendo notare che le persone che si oppongono sostengono in pratica una gravidanza forzata e che questa delicata condizione dovrebbe essere gestita soprattutto come una questione sanitaria piuttosto che morale.

Filippo Novelli, Federica Sossella

Somalia, terra di nessuno

Il quadro politico e sociale della Somalia è stato l'argomento principale di oggi al Ridotto del Teatro Comunale alle 14:30. A parlare sono stati Gautan Chatterjee, rappresentate di Médicins Sans Frontières, Tristan McConnel, giornalista e fotografo britannico, Abdurahman Sharif, rappresentante dell'ONG somala, introdotti e mediati da Duilio Giammaria, giornalista e conduttore televisivo.
 
Le problematiche emerse e analizzate hanno riguardato il ruolo dei media nei conflitti e nelle vicende del Paese, le condizioni di precarietà in cui vive la maggior parte della popolazione, specialmente nelle zone sotto il controllo dell'Al-Shabaab, la presenza delle agenzie umanitarie sul territorio e le competenze e capacità organizzative del governo.
I media occidentali, negli ultimi tempi, hanno molto trascurato le vicende somale dal momento che il conflitto dura ormai da più di 30 anni e che la situazione generale è considerabile meno "tragica" rispetto all'inizio. Inoltre, a causa della scarsa sicurezza garantita sul territorio, le principali testate sono intimorite dalla possibilità di rapimento e omicidio degli eventuali inviati sul campo, prendendo quindi la dura decisione di non mandare corrispondenti sul posto a documentare quanto avviene quotidianamente.
 
Sono state sottolineate anche le gravi condizioni di precarietà e povertà in cui la popolazione somala, sotto continui bombardamenti e violenze, vive ormai da tempo, con una percentuale di sfollati sempre in crescita. E' stato anche ricordato che la Somalia è stata segnata da due grandi carestie in meno di 20 anni, quella del 1992 e del 2011, e che nel 2017 ha sfiorato la terza.
Molte agenzie umanitarie, come MSF, non hanno un ufficio stanziato sul territorio, perché considerato troppo rischioso, dal momento che in passato queste organizzazioni sono state soggette a attacchi, rapimenti e omicidi. MSF tuttavia segue attivamente le vicende somale dall'ufficio di Nairobi, e si adopera per inviare aiuti e soccorsi al Paese.
Un punto molto discusso inoltre è stato quello del governo, che ormai da tempo manca di stabilità e che purtroppo controlla solo il 55% del territorio, costituito soprattutto dalle zone più urbanizzate e dalle grandi città; il restante 45% invece è "controllato", se così si può dire, da Al-Shabaab.
 
Gli ospiti, concludendo l'incontro, hanno avanzato qualche proposta per il futuro di questo Paese, improntante principalmente sulla ricerca di un governo sempre più efficiente, sperando negli aiuti, non solo militari, da parte di potenze estere e sottolineando la necessità di lavoro, soprattutto per i più giovani.
 
Giacomo Bosco, Desiree Bindini

Il fascismo raccontato attraverso i fascisti

Mai prima d'ora era stato scritto un libro che ricostruisse in maniera fotografica i momenti storici che hanno portato alla nascita del fascismo. Di questo parla M. Il figlio del secolo, l'ultimo romanzo di Antonio Scurati, che descrive un periodo molto più complesso e misterioso di quello che sembra. 
L'autore, attraverso solamente documenti e fonti storiche verificate, usa la forma del romanzo per raccontare l'ascesa al potere di Benito Mussolini. Lo fa in quanto appartenente ad una generazione che lui definisce l'ultima ad essere colpita dall'esplosione di questo momento storico e la prima a non esserne ferita, così da potersene riappropriare narrativamente senza seguire gli schemi preimpostati degli autori del dopoguerra, quali Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini. 
Il motivo per cui continuiamo a parlare di questi temi è la Storia stessa. Infatti l'autore sottolinea la mancanza di senso della Storia che caratterizza l'attuale generazione, che ha bisogno di un sentimento più largo del tempo in quanto i problemi, secondo lui, non si risolvono con la cronaca. Viviamo in un'epoca di confusione cognitiva, etica e politica per cui siamo sempre più spettatori di noi stessi, delle nostre stesse vite e della sofferenza degli altri: al pubblico non è più chiesto di distinguere la finzione dalla realtà.
Nel romanzo sono presenti molte assonanze involontarie tra quello che l'autore scrive e ciò che succede oggi: un esempio è la violenza. Proprio a questa l'autore ha dedicato larga parte dell'incontro spiegando come proprio con la violenza Mussolini sia stato in grado di prendere il potere.
L'incontro si è chiuso con un interrogativo: ma gli italiani si girano dall'altra parte?


Beatrice Culotta e Martina Piscitelli

sabato 6 ottobre 2018

La verità in quello che leggiamo

Per quanto agli italiani piacciano i termini stranieri, uno in particolare non è mai riuscito ad affermarsi in modo definitivo nel linguaggio giornalistico del nostro paese: stiamo parlando del fact checking. Questa particolare pratica editoriale del mondo anglosassone consiste nel controllare e verificare, prima di essere reso pubblico ai lettori, che quanto scritto da un autore sia attendibile e proveniente da fonti certe.

A presentarci questo metodo al circolo ARCI Bolognesi sono stati Nicolas Niarchos, giornalista del The New Yorker intervistato da Giulia Zoli di Internazionale, iniziando con il raccontare brevemente la storia di come sia nata la figura del fact checker: già nel 1925 il Times aveva una figura simile, ma la vera svolta è avvenuta nel 1927 in seguito ad un imprevisto che ha coinvolto una poetessa, la cui storia era stata raccontata in modo errato dal giornale The New Yorker. La madre di questa, giustamente turbata dal danneggiamento alla reputazione della figlia e della famiglia, ha infamato il giornale a tal punto che il direttore dell'epoca decise di mandare un memo a tutti i suoi dipendenti affinché verificassero i fatti prima di scriverli e sopr
attutto di pubblicarli. La figura si è poi successivamente evoluta fino a quella attuale, dove i fact checkers sono veri e propri giornalisti specializzati che si occupano di leggere le bozze dei colleghi controllando l'affidabilità delle fonti e confrontandole tra loro: per questo motivo, Niarchos l'ha definita una metodologia lenta e noiosa ma al tempo stesso molto interessante in quanto permette di spaziare tra vari argomenti nel corso di pochi articoli.

Gli strumenti utilizzati da questi esperti sono principalmente di tre tipi: possono essere biblioteche di riferimento, contenenti libri ed enciclopedie ricchi di informazioni utili, archivi di giornali online e database scientifici ma soprattutto il contattare chi direttamente coinvolto nella vicenda dell'articolo, eventuali testimoni e persone competenti nel determinato ambito. Rispetto ad un tempo si nota comunque un allontanamento dal lavoro sul campo, grazie all'utilizzo della fotografia digitale e di Internet, che non obbligano più il fact checker a recarsi sul posto per controllare; questo allontanamento non coinvolge però allo stesso modo anche i libri cartacei sui quali i giornalisti fanno tuttora molto affidamento. Per questo motivo risulta spesso più semplice verificare fatti su fenomeni di cronaca ben documentati, come vicende di guerra, piuttosto che il gossip.

Questo lavoro viene molto condizionato anche dal clima politico del momento: infatti, Niarchos ha concluso facendo notare come la presidenza di Trump abbia profondamente influenzato il livello di scrupolosità del fact checking, rendendolo più collaborativo e rapido.


Ada Pupella, Alessandra Cordiano, Filippo Moratelli

"Le mie parole con le tue"


Anche la traduzione è un genere letterario. Questo è emerso dal confronto degli studenti e dei professori del Liceo Ariosto di Ferrara con i traduttori Matteo Galli Rossella Bernascone, a cui si è aggiunto successivamente Marco Rossari, scrittore e traduttore dall'inglese. I tre sono stati coinvolti all'interno del progetto Erasmus+ My words with yours in una discussione sul lavoro di traduttore e la sua importanza.

Per primo è stato intervistato Matteo Galli, traduttore della novella del tedesco Uwe Timm La scoperta della currywurst, che ha raccontato del contesto culturale in cui è ambientato il libro, una Amburgo all'ultimo mese della Seconda Guerra Mondiale che non sa o finge di non sapere del massacro della Shoah, raccontata dalla voce di Lena Bruecker, inventrice della currywurst, piatto tipico tedesco.
Dopo di lui è intervenuta Rossella Bernascone, traduttrice della graphic novel dell'inglese Lita Judge Mary e il mostro, che racconta, unendo versi liberi e immagini, la vera storia di Mary Shelley, l'autrice di Frankenstein, fatta di dolore e abbandono. 
Ad entrambi sono state rivolte domande sul percorso e sulle scelte legate alla traduzione, soffermandosi anche su parole o frasi specifiche: queste riflessioni sono frutto del confronto di traduzioni fatte in classe dai ragazzi con quelle ufficiali e con il testo in lingua.
Marco Rossari è stato invitato a parlare nell'ultima parte dell'incontro per confrontarsi con gli altri due ospiti e con le professoresse sul difficile lavoro del traduttore. Tutti hanno convenuto che il traduttore abbia una duplice natura: quella di lettore e quella di scrittore. Il traduttore infatti legge e analizza a modo suo il testo, ma allo stesso tempo mantiene il più possibile un distacco critico, per evitare di inserire troppo di sé nella resa finale.
L'esito finale dell'incontro, concordato da tutti gli ospiti, è che la traduzione sia a tutti gli effetti un atto creativo, che sia di primo livello, come sostenuto dalla Bernascone, o di secondo, come sostenuto da Galli e Rossari, che necessita di competenze e abilità specifiche e che viene spesso premiato in vari concorsi.  



Beatrice Culotta, Martina Piscitelli, Giacomo Bosco, Desiree Bindini

Lo Yemen che aspetta

Povertà senza speranza, povertà estrema, questo è ciò che è rimasto dello Yemen. La guerra in questo Paese è iniziata solo nel 2015 e sembra non avere fine. Questo "mosaico di conflitti" collegati tra loro voluto dai signori della guerra occidentali è appoggiato inoltre dall'Arabia Saudita, motivo per cui manca la volontà di aprire le trattative per concludere il conflitto. Al dibattito hanno preso parte i giornalisti Laura Battaglia e Adam Baron, un volontario e un responsabile di Medici Senza Frontiere, i quali hanno discusso la situazione umanitaria in Yemen. Oramai malnutrizione, patologie croniche e mortalità infantile hanno raggiunto livelli altissimi nel Paese e anche un supporto psicologico adeguato è ormai inesistente. La situazione dopo questi anni di guerra si sta sgretolando e i servizi di base, come la sanità e l'istruzione, sono fortemente instabili. La vita di un comune yemenita è caratterizzata da code infinite per ottenere i viveri più semplici, come la farina, e il gasolio, necessario non solo per spostarsi da un luogo all'altro, ma anche per produrre elettricità. Laura Battaglia, parlando della sua famiglia che vive in Yemen, ha raccontato come le scuole aprano e chiudano ad intermittenza e come, di conseguenza, il livello di istruzione sia molto basso; inoltre, anche i mezzi di trasporto, fondamentali per raggiungere gli ospedali, sono difficilmente reperibili. Gli stessi aiuti economici spesso non arrivano a destinazione e gli operatori di MSF hanno difficoltà a far fronte alle numerose emergenze. Solamente i giovani uomini delle famiglie più abbienti riescono a fuggire dalla guerra e a trovare la speranza di un futuro in Occidente. Alla popolazione yemenita non resta ormai che attendere che qualcosa cambi e che questa condizione inumana abbia fine, mentre il nostro compito è quello di dare una voce a questa catastrofe silenziosa.
                                                                                                  Martina Catino e Emilia Ciatti

Docu-film per pensatori autonomi

La proposta di Internazionale non potrebbe definirsi completa senza la collaborazione con Mondovisioni, curata da CineAgenzia, che ormai da dieci anni partecipa attivamente al Festival proponendo documentari su informazione, attualità internazionale e diritti umani. Per essere proiettati durante le giornate del festival, gli otto docu-film sono stati selezionati tra più di centoventi dai curatori  Stefano Campanoni, Sergio Fant e i loro collaboratori. Questi rispondono infatti alla richiesta del pubblico di approfondimento e riflessione, raccontando la complessità del mondo attraverso storie senza filtri ed evitando pregiudizi e semplificazioni. Sulla base di questi criteri, i documentari scelti sono stati: Alt-right: age of rage, El paìs roto, Eurotrump, Kinshasa makambo, Recluting for Jihad,,Under the wire, What is Democracy, Whispering truth to power. Scontri, violenza, proteste, manifestazioni dominano le scene dei lungometraggi, infatti, come sostiene Sergio Fant: "le immagini hanno il ruolo di far rivivere agli spettatori  realtà distanti dalle proprie". La difficoltà di questa selezione sta nel rendere accessibile a un pubblico ampio documentari sempre meno presenti in televisione e nei cinema multisala. Di fatti a partire da Ottobre fino alla prossima estate, i documentari di Mondovisioni 2018-2019 saranno disponibili in più di 34 città da nord a sud nei circoli del cinema, nelle associazioni e istituzioni culturali, nelle università e nelle scuole attraverso il Progetto scuole che dallo scorso anno CineAgenzia propone a studenti e insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado. Inoltre offre a corredo dei film schede didattiche volte a fornire validi spunti di riflessione, per ricreare, al termine di ogni proiezione, quello che può essere definito un piccolo Internazionale.

Matilde Baiardi e Sophia Temgoua Tsafack 


www.cineagenzia.it, info@cineagenzia.it
www.monitor440scuole.it

Quando la democrazia diventa populismo

Il populismo rischia la scomparsa. Tutti gli intellettuali più in vista sulla scena politica italiana si preoccupano per la scomparsa della sinistra in politica.
Manca la presenza della voce del popolo, un richiamo alla sovranità popolare che appartiene al passato.

Il malessere popolare, nasce da una sfiducia verso la politica ormai giudicata monotona e costellata da partiti 'ibridi' incapaci di prendere decisioni che seguano una posizione fissa. Gli italiani sono per tradizione populisti ed attualmente viene richiesta sempre di più una democrazia immediata fra popolo e chi comanda.  Macron, attuale Presidente della Repubblica francese, si è presentato come candidato anti-sistema e ha utilizzato strumenti di natura populista per presentare il suo programma di contenuto non populista.
 Egli ha vinto le elezioni poiché si è posto come 'alleato' del popolo. Ciò che il popolo sta cercando di fare è di tornare alla sovranità passata che si prospetta come un sogno irrealizzabile.
 La maggioranza che forma il movimento populista è composta da 'uomini in crisi' minacciati dalla scomparsa del patriarcato e dalla ripresa dei movimenti femministi. In un clima di incertezza su chi possa comandare, si tende a 'prendere le redini' della situazione credendo in un popolo sovrano senza limitazioni.
L'uomo dovrebbe 'uscire dalla sua crisi', e cominciare a credere nel potere della democrazia, tralasciando l'utopia di un futuro di sovranità.
 Per di più, la globalizzazione ha eroso le frontiere territoriali e ed ha dimostrato l'impossibilità di adottare  confini nazionali di applicazione delle leggi, legate ad una sovranità popolare ed al protezionismo.
Il tempo passato in rete, inoltre,  sembra essere collegato alla crescente sfiducia negli altri: è necessario creare una nuova comunità di relazioni interpersonali.  Questo è, in pillole, il pensiero degli autori di Popolocrazia Ilvo Diamanti e Marc Lazar, impegnati in un dibattito con la filosofa Ida Dominijanni e coordinati dalla presentatrice  Eva Giovannini, venerdì 5 al Teatro Nuovo               
       
 Chiara Marchesin e Anna Di Garbo