Uno dei primi incontri del Festival di Internazionale 2018 si è svolto all'interno del cortile del Castello Estense di Ferrara, da sempre considerato una cornice perfetta per gli eventi culturali della città.
Stamattina cinque attivisti provenienti da diverse parti del mondo si sono confrontati riguardo i temi delle loro lotte, di diversa natura ma accomunate dal sentimento di ribellione nei confronti del sistema capitalista e patriarcale. La prima a parlare è stata la scrittrice palestinese Suad Amiry da anni sostenitrice dell'idea che i motivi alla base dello storico conflitto tra Israele e Palestina possano essere riassunti semplicemente nella parola land: infatti, a differenza di ciò che solitamente si pensa, l'ostilità che ha dato origine agli scontri, non è ideologica o religiosa ma riguarda unicamente i possedimenti territoriali.
Dopo di lei ha preso la parola Marta Dillon, una delle fondatrici di Ni Una Menos, movimento simboleggiato dai Fazzoletti Verdi indossati dalle attiviste che in Argentina lottano da anni per la legalizzazione dell'aborto e più in generale per l'autonomia femminile, nel tentativo di dare alle donne visibilità politica e di farle uscire dal ruolo di vittime a loro attribuito fino ad oggi.
Successivamente lo scrittore britannico Raj Patel ha quindi sottolineato come la lotta al capitalismo non sia solo politica, ma quotidiana e individuale. Per dimostrarlo ha portato l'esempio del "pollo capitalista" come uno dei tanti prodotti dello sfruttamento del lavoro manuale delle multinazionali, per spingerci a compiere la scelta di "prendere quel bocconcino di pollo e gettarlo via".
Il penultimo intervento è stato di Shamiso Mungwashu, giovane donna zimbabwese che ha fondato un'azienda di coltivazione e commercio eco sostenibile sostenendo l'importanza che le nuove generazione dovrebbero assumere in questo tipo di produzione agricola.
Infine, la giornalista pachistana Rafia Zakaria ha chiuso l'incontro con un incisivo j'accuse lanciato contro i "giornalisti predatori" occidentali che utilizzano la loro influenza politica e mediatica per fornire una visione parziale e stereotipata delle realtà che descrivono.
Come i protagonisti di questa mattinata hanno saputo dimostrarci, bastano solo poche parole per rendere un incontro incisivo, coinvolgente e stimolante, ma, del resto, proprio questo è il fascino del Festival di Internazionale.Stamattina cinque attivisti provenienti da diverse parti del mondo si sono confrontati riguardo i temi delle loro lotte, di diversa natura ma accomunate dal sentimento di ribellione nei confronti del sistema capitalista e patriarcale. La prima a parlare è stata la scrittrice palestinese Suad Amiry da anni sostenitrice dell'idea che i motivi alla base dello storico conflitto tra Israele e Palestina possano essere riassunti semplicemente nella parola land: infatti, a differenza di ciò che solitamente si pensa, l'ostilità che ha dato origine agli scontri, non è ideologica o religiosa ma riguarda unicamente i possedimenti territoriali.
Dopo di lei ha preso la parola Marta Dillon, una delle fondatrici di Ni Una Menos, movimento simboleggiato dai Fazzoletti Verdi indossati dalle attiviste che in Argentina lottano da anni per la legalizzazione dell'aborto e più in generale per l'autonomia femminile, nel tentativo di dare alle donne visibilità politica e di farle uscire dal ruolo di vittime a loro attribuito fino ad oggi.
Successivamente lo scrittore britannico Raj Patel ha quindi sottolineato come la lotta al capitalismo non sia solo politica, ma quotidiana e individuale. Per dimostrarlo ha portato l'esempio del "pollo capitalista" come uno dei tanti prodotti dello sfruttamento del lavoro manuale delle multinazionali, per spingerci a compiere la scelta di "prendere quel bocconcino di pollo e gettarlo via".
Il penultimo intervento è stato di Shamiso Mungwashu, giovane donna zimbabwese che ha fondato un'azienda di coltivazione e commercio eco sostenibile sostenendo l'importanza che le nuove generazione dovrebbero assumere in questo tipo di produzione agricola.
Infine, la giornalista pachistana Rafia Zakaria ha chiuso l'incontro con un incisivo j'accuse lanciato contro i "giornalisti predatori" occidentali che utilizzano la loro influenza politica e mediatica per fornire una visione parziale e stereotipata delle realtà che descrivono.
Martina Catino e Emilia Ciatti
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