Amira Hass, giornalista ebrea israeliana, presenta al pubblico italiano il diario della madre sopravvissuta al campo di concentramento nazista di Bergen-Belsen, ma lo fa con riluttanza. Il libro Il diario di Bergen-Belsen 1944-45, che raccoglie il diario di Hanna Levy-Hass, ebrea nata in Jugoslavia, e due testi di sua figlia Amira, raccontano le memorie della deportazione della donna, che, all’uscita dal campo, ha passato la vita perennemente in cerca di un nuovo posto da poter chiamare casa.
Amira Hass parla con difficoltà dell’esistenza degli ebrei durante e dopo la dittatura nazista. Sempre più di frequente lo sterminio del popolo ebraico diventa infatti metodo di ricatto politico utilizzato dallo Stato di Israele per giustificare l’espulsione dei palestinesi dai suoi territori, come se in qualche modo dovessero pagare per la sofferenza vissuta dagli ebrei durante i dodici anni di persecuzione. In tutto questo, sempre più spesso si crea la "gerarchia della sofferenza", che tenta di paragonare la persecuzione degli ebrei con i quattrocento anni di schiavitù del popolo africano o con l'oppressione dei palestinesi, come se esistesse un dolore più o meno forte, come se il maltrattamento e la perdita di vite umane potessero essere considerati migliori o peggiori a seconda della durata e della violenza dei soprusi. Ma la giornalista non ci sta, anzi, si dichiara indignata scatenando l'immediato applauso spontaneo del pubblico, che reagisce ancora prima della traduzione
del suo intervento dall'inglese all'italiano, lanciando un messaggio chiaro: lo sterminio non può diventare uno strumento politico.
La critica aperta all'Europa è forte: non si può dire che abbia imparato dai suoi errori, ma, anzi, gli stessi comportamenti vengono ripetuti oggi con altre minoranze, mentre si manifesta sempre più chiara la tendenza degli europei a minimizzare la tragedia della persecuzione del popolo ebraico durante il Terzo Reich. Una violenza come quella a cui abbiamo assistito nel secolo scorso non dovrà mai più ripetersi, non solo nei confronti degli ebrei, ma nei confronti di qualsiasi etnia e religione, perché, sottolinea la giornalista, l'offesa è stata fatta all'umanità intera.
L'incontro si conclude con l'intervento di uno spettatore che, visibilmente commosso, riassume quasi senza volere l'essenza dell' intero evento: la memoria della Shoah è stata tradita e viene tradita ogni qualvolta che viene minimizzato o ripetuto ciò che è successo negli anni di persecuzione del popolo ebraico, e con lei viene tradito tutto il genere umano.
Martina Piscitelli
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